venerdì 28 ottobre 2011
Stefano Santasilia recensisce Paolo Calabrò
16:05
filosofia, Le cose si toccano, Panikkar, recensioni, recensioni filosofia, recensioni Le cose si toccano
«Le cose si toccano», questa la tesi, che è soprattutto posizione critica, dell’autore ma anche del pensiero di quel personaggio che è primo oggetto di tale testo: la riflessione di Raimon Panikkar riguardo ai fondamenti della scienza moderna. Come ravvisa Pietro Barcellona nell’introduzione, un atteggiamento critico, in questo caso, deve soprattutto essere vigile nei confronti delle definizioni perché esse non sono affatto neutrali: sono proprio le definizioni, nello specifico il senso simbolico che assumono i termini che le costituiscono, a determinare la direzione e lo svolgimento della cultura, quindi della vita umana (pp. 8-9). Eppure, proprio la genesi del senso dei termini, processo sempre relazionale, mostra l’infondabilità di qualunque pretesa di assoluta oggettività semantica e denotativa che possa avanzare la scienza.
L’indagine di Calabrò muove dal tentativo di verificare una possibile compatibilità tra le riflessioni elaborate da Panikkar riguardo il necessario accordo tra fisica e metafisica – tema di certo non nuovo nell’ambito della storia del pensiero ma sempre di estrema attualità – e le speculazioni di coloro che ai fondamenti filosofici della fisica hanno dedicato gran parte dei propri studi, come Heisenberg, Planck, Schrödinger, Bohr, Mach, Einstein et alii. Si tratta di una compatibilità più evidente di quanto ci si possa aspettare, soprattutto dinanzi ad una, troppo spesso scontata, considerazione del pensiero di Panikkar come di una proposta esotica e di “stampo orientaleggiante”. Si tratta di riconoscere, fondamentalmente, che la scienza non è l’unica autentica e corretta lettura del mondo, bensì «una prospettiva culturale al pari di ogni altra» (p. 13). Il libro si divide, come dichiarato nell’Introduzione, in due parti: la prima dedicata alla descrizione del pensiero metafisico di Panikkar, la seconda a mettere in evidenza la suddetta possibile compatibilità con le riflessioni contemporanee relative ai fondamenti delle scienze.
Calabrò ci guida, così, in maniera estremamente lineare e chiara, alla comprensione della proposta cosmoteandrica, che si delinea fondamentalmente come critica del monismo e del dualismo (le due posizioni tra le quali, a parere di Panikkar, si “dibatte” da sempre il pensiero occidentale). Il cosmoteandrico si delinea come il riconoscimento di una terna dimensionale (divino-umano-terrestre) (p. 19) all’interno della quale vige un correlativismo che si configura come fonte relazionale di ogni valore simbolico. Conseguenze di tale concezione sono la considerazione dell’impossibilità di una completa demitizzazione e la necessaria simbolicità del reale. In maniera acuta, Calabrò mostra come l’elaborazione di Panikkar, nella sua concezione dell’impossibilità di giungere alla completa fuoriuscita dal mito-guida, non sia tanto lontana dalla riflessione, nella scienza moderna, sulla necessità di una teoria-guida che orienta la stessa osservazione dei fenomeni (pp. 28-30). Tutto ciò implica, quindi, l’impossibilità di una lettura oggettiva di ciò che definiamo come “reale”, quindi il necessario riconoscimento della dimensione plurale della verità. Chiarito ciò, risulta possibile l’accostamento dei risultati del pensiero di Panikkar con le riflessioni di coloro che possiamo definire come i “protagonisti” del dibattito scientifico moderno, riguardo la questione della coestensività di pensiero ed essere (pp. 64-68), dell’universalità e della cosa in sé (pp. 69-79), dell’oggettività (pp. 80-97), della soggettività (pp. 98-105). Sicuramente, l’importanza di tale studio va riscontrata nel mettere in evidenza la necessità di non idolatrare (vedi il riferimento al “vitello d’oro”) la scienza, e il suo metodo, come se fosse l’unico foriero di verità. Di sicuro, si può discutere riguardo la proposta “teosofica” come momento collaborativo tra fede e scienza ma, senza alcun dubbio, il merito della proposta di Panikkar sta nel ricordare come oggettivo e soggettivo siano a tal punto coimplicati da riguardare qualsiasi possibile definizione che, come tale, rimane sempre simbolica o, in questo caso, cosmoteandrica.
Stefano Santasilia
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