sabato 20 giugno 2015

La verità cammina con noi. Recensione di Daniele Baron per «Filosofia e nuovi sentieri»


Cosa accomuna l’economia, la psicoanalisi, la teologia, la filosofia, l’antropologia, la letteratura? Questo di primo acchito viene spontaneo domandarsi a uno sguardo di sorvolo sull’opera proteiforme di Maurice Bellet – filosofo, teologo e psicanalista francese – che si muove in tutti questi ambiti. Rimandando per il momento a dopo la risposta, ciò che voglio rimarcare ora è il fatto che la prima sensazione che ci donano la figura e l’opera di questo pensatore e scrittore è lo stupore per la sua versatilità, per la sua straordinaria capacità di cimentarsi con differenti ambiti, stili e saperi. La complessità del percorso di questo autore, ancora poco noto in Italia, è grande in primo luogo proprio in virtù di questo suo dono nello spaziare ed è pari alla sua originalità. Dobbiamo riconoscere, quindi, a Paolo Calabrò, nel suo La verità cammina con noi. Introduzione alla filosofia e alla scienza dell’umano di Maurice Bellet, Il Prato, 2014 Saonara (PD), un primo merito, quello di rielaborare un percorso ermeneutico “sistematico”, che ci dà una visione d’insieme e che coglie i principali nodi teoretici del pensiero di Bellet, organizzandoli per temi. Di fronte alla oggettiva difficoltà di trovare un bandolo, si tratta di un’ottima introduzione per inquadrarne il pensiero e per ricostruirlo nella sua totalità. Non una mera ripetizione o divulgazione, ma utile opera di appassionata sistemazione, spesso condotta su testi ancora non tradotti in Italia.

Come sottolinea Calabrò «Bellet è un pensatore atipico, nello stile, nei contenuti, nell’impostazione» (p. 11).
C’è tuttavia una coerenza di fondo nel pensiero di Bellet che le pagine di Calabrò ci fanno scoprire. Infatti, al di là dei diversi stili, al di là delle diverse e importanti sfumature a seconda che Bellet si cimenti con una o un’altra materia, è certo che alla fine risulta una fondamentale unità.
Per venire ai contenuti, il pensiero di Bellet non può certo prescindere dai suoi fondamenti religiosi, in particolar modo cristiani, dalla sua originale posizione teologica. C’è in lui una sostanziale ed esplicita continuità tra la filosofia e la teologia: «in Bellet non c’è alcuna opposizione fra teologia e filosofia perché non c’è opposizione tra Dio e l’uomo» (p. 62).
Ecco perché rispondere alle problematiche religiose poste dalla fede, in particolar modo dal Cristianesimo, non è senza conseguenze in tutti gli altri ambiti dello scibile che riguardano l’uomo occidentale: la scienza e la filosofia, in primo luogo.
Il Cristianesimo di Bellet è una religione dell’amore, è una religione che invita all’esperienza, non un insieme dottrinario, dogmatico, indubitabile, ma un invito all’accoglimento dell’altro. Lo stesso Assoluto deve essere considerato mobile, non distante, trascendente, ma immanente. L’unico sentiero che può condurre a Dio è quello dell’amore; è la relazione (il fra noi), ciò che ci rende umani, è il dialogo, che si concretizza nella parola e nell’ascolto.
Anche la ricerca della verità deve essere rigorosamente intesa come relazione e dialogo. In contrapposizione alla tradizione filosofica moderna inaugurata da Cartesio, il principio primo in Bellet non è il Cogito, non è il soggetto, o l’Io, ma la realtà. «L’esperienza prima dell’uomo è dunque esperienza di contatto, di condivisione; prima dell’Io c’è il Noi, prima del Soggetto c’è la Relazione. Non esiste uomo, io, individuo, soggetto isolato. All’origine, dunque, l’uomo ritrova la realtà… e i suoi simili. Questa consapevolezza disfa qualunque pretesa del “Solo”; egli è infatti già da sempre figlio-di. Ancora una volta è la psicosi a mostrare l’insostenibilità della pretesa di autosufficienza e di solitudine dell'”Io”» (pp. 18-19).
La verità non è assoluta, al di fuori dell’amore e del rapporto con l’altro non esiste una verità in sé. «Al fondamento, coesistente con il dono (ma non nel senso che vi si aggiunga, più nel senso che vi sia connaturata) c’è la verità. Ma al principio c’è la relazione. Detto in un altro modo, conoscenza (verità) e amore vanno di pari passo. La verità si dà all’interno della relazione: essa non dimora in alcun oggetto, né in alcuna affermazione» (pp. 44-45).
Per tornare allo stupore che si è espresso con la domanda iniziale e per dare ora una risposta, veniamo ora al progetto più ambizioso di Bellet: la volontà di gettare le basi di una scienza dell’umano. Ecco dunque cosa accomuna i differenti ambiti del sapere sopraccitati: l’uomo nella sua interezza. In rapporto con il procedere del sapere nel contemporaneo, che tende sempre di più alla specializzazione, alla parcellizzazione, che difetta di una visione d’insieme e addirittura non sembra neanche più avvertirne la carenza o la nostalgia, Bellet va controcorrente, perché ci dà un uomo intero, una verità che lo concerne in ogni aspetto della sua esistenza e perché ha l’ambizione di costruire una scienza dell’umano.
«Perché è così importante una “scienza dell’umano” oggi? Per due motivi. In primo luogo perché è l’unico modo per capire cosa l’uomo sia veramente, evitando di ridurlo a modelli ipersemplificati che asservono l’uomo al potere dominante (la tecnologia ne fa una macchina pensante, l’economia un fascio di bisogni da soddisfare ecc.). In secondo luogo, è l’unico modo per tener viva l’attenzione verso qualcosa (l’uomo) che si mostra sempre nuovo, sempre in movimento, sempre eccedente ogni categorizzazione» (p. 205).
Calabrò analizza efficacemente e da vicino, in uno dei capitoli più densi da un punto di vista teoretico della sua introduzione, il libro Le paradoxe infini di Bellet che tematizza esplicitamente questa nuova disciplina e che cerca di delinearne le basi. La scienza che ha in mente Bellet ha come proprio prototipo le scienze naturali, la fisica in particolare, il suo metodo è assiomatico, infatti solo così possono essere garantiti verità e rigore. Ciò non significa affatto una riduzione dell’uomo a ciò di cui si può esprimere o parlare solo quantitativamente, non vuol dire un privilegiare l’oggettività a scapito della soggettività, che è invece costitutivamente qualitativa. Significa indagare rigorosamente l’ambito dell’umano per definire ciò che gli è proprio.

(«Filosofia e nuovi sentieri», 17 giugno 2015)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Collabora all'Opera Omnia di Panikkar e dirige la collana di filosofia "I Cento Talleri" con Diego Fusaro