martedì 3 maggio 2011

Gabriele Capone su «Nova Tempora», aprile 2011


di Gabriele Capone

Paolo Calabrò è un mio amico. Con lui ho condiviso questi anni del mio lavoro a Sant’Antimo, che lui, sempre, ha seguito; spesso condiviso, a volte completamente abbracciato. Mi ha restituito momenti di riflessioni, scambi onesti di opinioni - le sue sempre un po’ sopra le righe, quasi a sfiorare la provocazione per fa si che meglio il suo pensiero fosse compreso e compresso nell’alveo -, ma soprattutto mi ha regalato prima una grande curiosità e poi un grande rispetto nella figura di Raimon Panikkar. Confesso, sulle prime mi incuriosivano e affascinavano quelle due k; mi evocavano conoscenza e saggezza: e come spesso accade,
l’istinto non inganna. Mi interessai poi alla sua figura fisica col suo essere slanciato, il bruno della carnagione - a tradire una origine indiana; e le sue lunghe bluse bianche, che mi portavano a materializzare l’ascetismo nel rumore del nostro mondo. Solo dopo rimasi sorpreso della capacità di Panikkar di mettere insieme, di fare incontrare i Saperi, mezzo mobile per condurre alla conoscenza delle cose, alla maggiore e migliore consapevolezza di sé, a rendere più armonioso il nostro rapporto con il mondo/cosmo, a far sì che tutto il vero sta nelle relazioni tra gli uomini e le cose, tra l’uomo e i suoi simili, perché non esistono cesure e il tutto è limitrofo e pertinente. Anzi. Le cose si toccano.
Le cose si toccano. Raimon Panikkar e le Scienze moderne (Edizioni Diabasis, collana Asteroidi, euro 15,00) è lo studio che Calabrò ha voluto dedicare, dopo dieci anni di intense ricerche, al filosofo recentemente scomparso. Si tratta di una serie di saggi, che scartando i temi maggiormente di moda sul pensiero di Panikkar (dialogo tra le religioni e le culture, la pace, la cristologia) hanno puntato, invece, sul collegamento tra la scienza moderna e la filosofia del catalano, riuscendone senza artefici, a dimostrarne la consonanza: in altre parole il pensiero filosofico, di uno dei più grandi pensatori contemporanei non è affatto “incompatibile con il pensiero scientifico”.
Il volume di Calabrò affronta anche un argomento a me caro, e che spesso è stato oggetto tra noi di lunghe discussioni: la restituzione, a certe parole, del loro giusto significato. Se è vero che tutta la storia della cultura dell’umanità è costruita sulle parole è ancor più vero che distorcere “o, peggio ancora, manipolare il senso delle parole” ha delle ripercussioni enormi sulla vita degli uomini. Pertanto, non si può parlare di onore o religiosità per la mafia; né di fratellanza per la massoneria; e ancor meno denominare “operazione di polizia internazionale” una guerra!
Lo scritto di Calabrò su Panikkar, in conclusione, aiuta a mettere in discussione gli arroccamenti del sapere e della conoscenza, a cui ognuno di noi è legato, principalmente per una questione di comodità e pigrizia intellettuale. Perché “ogni modifica della propria visione del mondo genera una ricaduta sul proprio stile di vita”, del modo di pensare e quindi anche di essere.
Dunque, la lettura del volume aiuta a mettersi in discussione, a elaborare positivamente i dubbi che attanagliano gli uomini pensanti, perché solo lo sforzo della comprensione del tutto è vera conoscenza. Perché le cose sono più vicine di quanto pensiamo. Anzi, si toccano.

(Nova Tempora», aprile 2011, p. 6)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Collabora all'Opera Omnia di Panikkar e dirige la collana di filosofia "I Cento Talleri" con Diego Fusaro